L'incredibile storia del ginseng
Ginseng, la radice della vita di Nico Valerio, Edizioni Aporie, lire 36.000
Capitolo I
Mosè conosceva il ginseng? Nella Bibbia una droga misteriosa detta
pan-nag è citata in modo tale da far pensare che si tratti di una spezia
di valore, su cui poter imbastire un commercio molto lucroso. E elencata,
infatti, accanto ad altri beni di qualità, alcuni forse importati dallOriente,
ma fondamentali per leconomia del popolo dIsraele. Fatto sta che
verso lanno 1300, cinquantadue generazioni prima della nascita di Cristo,
come si legge nel Libro di Ezechiele (27:17) in un passo poco
noto del Vecchio Testamento, cera chi in quellarea geografica
che oggi definiamo genericamente Medio Oriente commerciava in grano
di Minnith, pan-nag, miele, olio e balsamo. Di qualunque cosa si trattasse,
certo tutti dovevano conoscere il pan-nag; ma è probabile che solo
pochi fossero in grado di acquistarlo. A maggior ragione, quindi, anche il
profeta Mosè, che apparteneva alla riverita casta dei sacerdoti e sarebbe
stato il primo legislatore degli Ebrei, avrebbe potuto usare il pan-nag.
Il pan-nag è il panax? Partendo dal termine scientifico in latino,
che il naturalista Linneo gli attribuì nel XVIII secolo, alcuni autori
(tra i quali il Fulder, 1980) hanno azzardato che si possa trattare davvero
del leggendario panax di Greci e Romani. Una tesi che lascia perplessi, perché
fino alla dotta citazione del botanico e latinista svedese nessuno in Cina
aveva mai chiamato così questa radice.
Ma è di certo unincredibile coincidenza che panax fosse per gli
antichi Greci, e poi anche per i Romani, la mitica panacea (panakeia) che,
come tramandano mitologi e naturalisti antichi, era unerba che curava
tutti i mali e non faceva sentire la fatica, anchessa mitizzata fino
a venire adorata come una sorta di divinità. Oggi se ne sa così
poco che una tale ipotesi potrebbe perfino essere avvalorata, se è
vero che i botanici dellOttocento si divisero sul nome delle varie specie
di ginseng, ma non certo sul nome da dare al genere: Panax (da pan, tutto,
e akos, farmaco). E i naturalisti, nel creare i nuovi nomi scientifici, hanno
già mostrato in passato di attingere spesso agli antichi nomi colti
in uso nel mondo greco-romano, magari in Plinio o Columella.
La storia della panacea degli imperatori, lerba più
rara e preziosa che sia mai apparsa sulla terra, inizia non con un Mosè
ma con un Noè dei Tartari vissuto verso il 3000 a.C., che mette in
salvo non gli animali ma le erbe, i fiori e le radici. Il mito lo ha consegnato
alla memoria degli uomini con il nome leggendario di Shen Nung (Divino
coltivatore o Divino aratore), un uomo considerato saggio
e per questo potente, forse un principe o un alto sacerdote, per i Cinesi
ad un tempo il padre dellerboristeria e della medicina (discipline che,
anche in Occidente, coincisero fino al XIX secolo), colui che aveva
provato cento erbe, che aveva insegnato alle genti, nientemeno, lagricoltura
e la domesticazione degli animali, ed anche per questo era venerato come eroe,
capostipite o fondatore
Il trattato sulle malattie e i farmaci compilato sotto il suo nome, in realtà,
pare sia stato scritto solo dal 456 al 536 d.C. E stato tramandato come
un grandioso patrimonio di medicina popolare da conservare per i posteri,
uneredità culturale in cui i farmaci non sono altro che spezie
ed erbe della natura. Il nome di Shen Nung, però, secondo Joseph Needham,
doveva essere già noto ai Cinesi almeno fin dal II secolo a.C. (Fulder
1996).
Come per le Tavole della legge di Israele, come per le XII Tavole della legge
di Roma, così per il cinese Shen Nung Pen Tsao Ching o Repertorio delle
erbe mediche del Divino Coltivatore, un codice in questo caso fitoterapico
finisce per diventare lelemento su cui si fonda lidentità
culturale di un intero popolo. Ma in Cina il profeta delle erbe
nei suoi comandamenti non punisce omicidi, furti e adultéri; si limita
ad insegnare a riconoscere le piante e a prescrivere rimedi efficaci contro
ogni malattia.
In uno stile moderno, tanto è sintetico, il Divino Erborista spende
solo 44 antichi ideogrammi cinesi per descrivere caratteristiche e proprietà
della radice che già allora tutti i cinesi consideravano il farmaco
principe. E senza lenfasi degli orientali doggi, forse una nota
di leggerissima ironia può essere colta nelle parole con cui il Divino
Erborista, al tempo stesso Grande Copywriter, si esprime su quello
che è il primo farmaco dellanima, che anche
se lui non lo dice per la sua rarità avrà la forza di
arricchire i poveri e impoverire i ricchi: La radice è chiamata
anche Jen Hsien (caricatura delluomo) o Kuei Kai (ombrello del diavolo).
Ha sapore dolciastro e proprietà di leggero rinfrescante. Cresce nelle
gole delle montagne. E usato per riparare le cinque viscere, acquietare
lo spirito, domare le emozioni, frenare lagitazione, allontanare le
influenze nocive, schiarire gli occhi, illuminare lanimo e aumentare
il giudizio. Se la usi di continuo ti dona lunga vita e peso leggero
( trad. di S.Y.Hu,1977).
Ma sulluso del ginseng in Cina esistono anche altre antiche testimonianze
più sicure storicamente di quella del mitico Erborista di Dio. La radice
è citata in Keub Chui, un testo scritto da Sa Yu (33-48 a.C.), e in
Shang Han Lun, compilato da Chang Chung Ching nel 196-200 a.C., secondo S.K.Hong
(1982). Questultimo è un prontuario medico che riporta 21 prescrizioni
terapeutiche a base di ginseng, sul totale di 113 prescrizioni di cui è
composto il libro. Secondo lautore coreano H.W.Bae (1975), invece, questo
prontuario risale al 200 dopo Cristo.
In quanto allattribuzione della scoperta dellefficacia terapeutica
della radice, è diffusa in tutto lOriente una leggenda che lattribuisce
allaltrettanto mitico e misterioso filosofo Lao Tse (circa 604 a.C.),
fondatore del taoismo. Anche Confucio, 2500 anni orsono, avrebbe conosciuto
il grande potere benefico della pianta, a quanto riferisce G.E.Patty (1974).
Si deve distinguere, però, tra la prima menzione del nome ginseng
e il presumibile inizio delluso popolare della pianta. La prima citazione
sarebbe contenuta nel libro Chi Chin Ping diffuso sotto limperatore
Won, della prima dinastia Han (33-48 a.C.). Secondo altri, è vero,
il suo nome si trova citato in un documento orientale per la prima volta nel
I secolo a.C.; ma si tratterebbe invece del poema Linterpretazione delle
creature scritto dal letterato cinese You Shi.
Molto più remoto è il presumibile inizio delluso popolare
della pianta, che potrebbe risalire a più di 4000 anni avanti Cristo,
come ritengono B.W.Halstead and L.L.Hood (1984). In realtà, anche la
scoperta di questa radice, che in origine era quasi certamente duso
alimentare (tanto che viene masticata fresca ancor oggi) e solo in seguito
curativo, sembra perdersi insieme con altri vegetali nei secoli che videro
lalba della civiltà, come suggeriscono paleobotanici e antropologi.
Ad ogni modo, nel citato Pen Tsao o Libro delle Erbe del Divino
Coltivatore Shen Nung, che fu revisionato molto più tardi (452-536
d.C.) da Tao Honh Jiang, sono stati trovati riferimenti sicuri che riportano
il ginseng molto indietro nel tempo, almeno fino al 2600 a.C.
Una seconda grande farmacopea, più imponente della prima, compilata
nel 1578 dallo studioso Li Shih Chen e conosciuta come Pen Tsao Kang Mu, studiò
e selezionò in modo critico circa 500 opere di medicina pervenute fino
ai suoi tempi, classificando le tecniche e i rimedi migliori, e aggiungendone
di nuovi tratti dalla personale esperienza terapeutica dellautore. In
questo trattato, che comprende ben 1892 farmaci e circa 10 mila ricette, il
ginseng ha il ruolo principale. Una moderna review o meta-analisi scientifica
si direbbe oggi che nel 1972 ha avuto lavallo della classificazione
scientifica in una riedizione critica moderna a cura dellIstituto farmacologico
di Nanchino, che ha controllato e riclassificato per la prima volta 2000 sostanze,
sia con i nomi cinesi che latini (Yao Chai Hsueh 1972).
Cerchiamo di guardare questa curiosa radice con gli occhi dei cinesi arcaici.
Era considerata antropomorfa, cioè di forma umana, senza essere opera
delluomo. Sicuramente a causa di qualche prodigio divino,
avranno concluso i saggi orientali dellantichità. Unumile
radice dallo strano fittone a due gambe, rappresenta, così,
agli occhi ingenui degli antichi popoli dOriente la materializzazione
della divinità delluomo, forse anche lessenza stessa della
terra o lo spirito invisibile della natura, o chissà il
simbolo stesso del potere di Dio. E questa linterpretazione che
ne ha dato lo studioso coreano S.Y.Hu.
Daltra parte, sono ben note agli studiosi dei Miti e agli antropologi
culturali lemotività dei nostri progenitori, la loro capacità
di essere facilmente sedotti dalle lunghe storie avventurose tramandate oralmente
lunica forma di informazione disponibile a quei tempi e
suggestionati dalle immagini e dalle più strane ed evocative forme
spontanee della natura. Il Frazer, nel suo Il ramo doro, ha rivelato
come fino a 2000 anni fa, non nella lontana Cina ma sulle rive del Tevere,
il frutto del fico a causa della sua rassomiglianza fosse collegato nei riti
e nella medicina popolare alla mammella della donna. E secondo il nostro G.B.Vico,
è la creatività dei popoli fanciulli, in cui come
nellinfanzia delluomo la ragione è sopraffatta dallimmaginazione,
che caratterizza il primo stadio culturale della parabola della civiltà.
La somiglianza esteriore o analogia, come criterio per indovinare le indicazioni
terapeutiche di un vegetale, era uno dei principi di base della medicina arcaica,
fondata sulla magia e sul Mito. Tanto che ancor oggi influenza alcune attribuzioni
curative della cosiddetta etnomedicina, considerata da alcuni una branca antropologica
Politically correct delle medicine alternative, e in conseguenza
riconosciuta recentemente anche dallOrganizzazione mondiale della Sanità
(WHO). Ogni parte di vegetale era creduta adatta a curare lorgano del
corpo umano a cui somigliava. Il seme a forma docchio della Actaea,
ad esempio, era indicato per i disturbi della vista e degli occhi; una radice
rigida era raccomandata contro limpotenza; un frutto a forma di cuore
veniva prescritto nelle malattie che oggi definiremmo cardiocircolatorie;
una pianta dal lattice rosso serviva per le malattie del sangue; il frutto
del fico si è già detto era adatto a proteggere
lallattamento e le mammelle e a favorire la fecondità. Del resto
la dottrina dei segni fondata sulle caratteristiche esteriori
di presunta somiglianza della pianta-farmaco con gli organi da curare, è
stata uno dei fondamenti teorici della nostra stessa medicina ufficiale,
nellOccidente a torto ritenuto razionalista, fin quasi al
secolo scorso. E a quale terapia i guaritori antichi potevano mai indirizzare
una radice che aveva la forma non di un organo ma dellintero corpo umano?
Naturalmente a tutti i mali delluomo nella sua totalità, in modo
non specifico.
Intuizione, questa, che caduta ormai da tempo la teoria pre-scientifica della
somiglianza, è stata oggi recuperata dalla medicina sperimentale, e
rappresenta una doppia notevole coincidenza non solo con il carattere olistico
(da olos, tutto) delle varie medicine naturali per cui il terreno,
cioè lambiente organico con le sue molteplici interazioni, è
più importante del singolo organo; ma anche in particolare con la conclamata
aspecificità dei farmaci cosiddetti tonici-adattogeni propri
della moderna fitoterapia.
Ad ogni modo, sulla radice di ginseng sono stati trovati o citati documenti
risalenti al 502-555 d.C. (dinastia Liang) che riferiscono tempi di raccolta,
centri di produzione e caratteristiche morfologiche precise. A quel tempo
si riteneva che il miglior ginseng provenisse dalla regione dello Shang Tang
(oggi Chang Chilh, nella provincia di Shan Si), oppure dalla zona del Liao
Tung, a est del fiume Liao, o da una certa parte della Corea.
Molti secoli dopo fanno notare gli storici della medicina orientale
questa pianta che era riservata in pratica alla cura di imperatori e sacerdoti
diventa sempre più importante nella farmacopea della Cina, e perciò
molto ricercata nonostante la sua rarità e lalto prezzo. Nella
metà del XVII secolo un trattato medico coreano che comprende 2216
prescrizioni ne riserva ben 509, ovvero un quarto del totale, a questa radice.
Ed anche lOccidente antico, con la sua abilità nei commerci e
la sua grande cultura delle erbe curative, è certamente sempre stato
a conoscenza dellesistenza di questa radice panacea. Anche il mercante
e viaggiatore veneziano Marco Polo la conobbe durante il prolungato soggiorno
nel paese dei Tartari e la menzionò nel libro Le dévisement
du monde (secolo XIII), tradotto poi in italiano col titolo Il Milione,
come il vero segreto della leggendaria resistenza di quel popolo nomade nelle
lunghe scorribande a cavallo.
Che pianta è, dopotutto, quella che Cinesi e Coreani idolatrano da
almeno 7000 anni? A ben vedere, è unerba molto modesta, quasi
spoglia, poco appariscente nella sua parte aerea, ha notato W.Embolden nella
sua guida alle piante bizzarre (Embolden 1974), con doppio distacco
di razionalista anglosassone e di botanico. Era tale nellantichità
il fascino di questa strana radice a forma duomo anche allora
rara e costosa, a cui non solo il popolo ma soprattutto i re e i sapienti
attribuivano la virtù di curare quasi tutti i mali, compresi i più
difficili mali dello spirito, che bastava la speranza, anche remota,
di trovarne pochi esemplari nel sottobosco delle regioni montagnose tra Cina
e Siberia, per scatenare scorribande di predoni armati, inseguimenti da parte
di soldati dellimperatore, e addirittura vere guerre economiche tra
i potentati locali per il possesso dei territori segreti dove si sapeva che
la pianta portentosa e costosa prosperava.
Lumana sete di guadagni, il potere carismatico dei guaritori, il desiderio
di confermare con una medicina rara ricchezza e status sociale, la mancanza
di libera concorrenza e leconomia rigidamente corporativa, sono tutti
elementi caratteristici della società cinese che nella raccolta della
radice panacea confluiscono e si rivelano, come nello specchio duna
società.
Probabilmente dopo scontri furibondi e sanguinosi tra opposte bande di cercatori,
fu costituita sùbito una corporazione ufficiale patrocinata o riconosciuta
dallimperatore che aveva il monopolio della raccolta e forse anche del
commercio del ginseng. I raccoglitori autorizzati a ricercare e strappare
al terreno la rara radice selvatica, in Cina si chiamavano Va Pang Sui e dovevano
essere coraggiosi come guerrieri, perché rischiavano la vita. Facevano
parte di una congregazione chiusa le cui regole rigorose avevano regole monacali
che oggi ci appaiono incomprensibili.
Qualche tempo prima di iniziare la ricerca e la raccolta, ad esempio, erano
obbligati a purificarsi, cioè a smettere di mangiare carne
e di avere rapporti sessuali. Questo confermerebbe lipotesi avanzata
da alcuni mitografi, secondo cui la radice di ginseng era considerata in qualche
modo sacra, e dunque vietata ( dal latino sacer = proibito ai
non iniziati) e perciò chiunque si apprestasse a toccarla doveva prima
purificarsi totalmente nel corpo e nello spirito. Il segreto più ferreo,
naturalmente, proteggeva i luoghi esatti dove crescevano le piante spontanee
di ginseng. Ma ciò non bastava. Le associazioni dei raccoglitori avevano
anche un loro linguaggio segreto, speciali rituali propiziatori, e sembra
che dessero molta importanza al potere divinatorio dei sogni, forse per avere
visioni premonitrici su sempre nuovi insediamenti della pianta,
man mano che la raccolta intensiva spogliava il sottobosco delle foreste temperate
della preziosa radice. Una parte di questi rituali di gruppo sono curiosamente
sopravvissuti in epoca moderna.
I raccoglitori ufficiali, per le cui mani passavano vere e proprie fortune
sotto forma di piccole radici gialle, erano di frequente depredati da banditi
altrettanto specializzati, noti col nome affascinante di cigni bianchi,
nonostante che tentassero di terrorizzarli preventivamente urlando di notte
nelle foreste. Ma i cigni bianchi per loro fortuna non credevano
tutti agli orchi e ai fantasmi della foresta, e alcuni di loro non esitavano
ad uccidere pur di impossessarsi della radice rara e costosa che li avrebbe
reso ricchi.
Costoro si occupavano solo di ginseng, come oggi la malavita può dedicarsi
unicamente alla cocaina o alleroina. Più civili dei ladri doggi,
però, per non rischiare di depredare più volte lo stesso raccoglitore
il che avrebbe scatenato lira degli dèi riversando sul
colpevole un karma negativoquesti strani predoni timorati di Dio consegnavano
alla vittima uno stendardo bianco orlato di rosso (Fulder 1996), che nel loro
linguaggio voleva dire già derubato, grazie. O moralità
dei rapinatori antichi.
La felicità, comè noto, non ha regole certe, ma sui modi
di raggiungere la ricchezza le idee non mancano. Tale era in Oriente il peso
di simboli esoterici, superstizioni e tradizioni di medicina popolare che
gravava sul ginseng, che per ogni singolo individuo coreano o cinese
che fosse tutto era considerato lecito purché fosse in grado
di assicurare anche un solo pezzetto di questa radice che prometteva non solo
il benessere ma, agendo sulla psiche, addirittura la felicità. E se
questa era la mentalità delluomo comune orientale, figuriamoci
quella dei potenti.
Non cè da meravigliarsi, dunque, che gli imperatori, i governatori
delle provincie ed anche i più vari eserciti di occupazione (lultimo
è stato lesercito dellUnione Sovietica in Corea, dal 1945
in poi) abbiano praticato in Manciuria o nella penisola coreana una politica
di sistematica spoliazione e sfruttamento della risorsa più preziosa.
La Russia, col pretesto di analizzarlo e di sperimentarlo,
ha confiscando per decenni lintero raccolto di ginseng della Corea del
nord. In passato, come raccontano le antiche cronache, un re dei Tartari evidentemente
il vizio è geneticoarrivò a chiudere unintera provincia
buona produttrice di ginseng con unalta e invalicabile palizzata, pur
di impedire ai bracconieri, numerosi nonostante la pena di morte, di impossessarsi
del suo raccolto di ginseng che avrebbe dovuto dargli ricchezza
e felicità.
Nel 1709 limperatore della Cina, che non si sa se volesse rimpinguare
le casse del Tesoro o quelle personali, inviò ben diecimila soldati
a cercare radici di ginseng con la strana consegna di portargli, per uso personale,
solo un peso di due chati (circa un chilo) delle preziose radici: il resto
lo avrebbero dovuto vendere a peso dargento. E ci furono tempi, durante
limpero, in cui la magica radice a forma duomo si vendeva letteralmente
a peso doro e ancor di più. E stato calcolato che un imperatore
cinese abbia pagato una bella e grossa radice ben stagionata lequivalente
odierno di circa 10 mila dollari o euro, vale a dire ben 20 milioni di lire
(Gronewold 1984).
A quanto si può trovare sul mercato, oggi, una radice di Panax ginseng?
Sempre a prezzi da gioielleria. Una buona radice di prima qualità,
anche solo a valutarla in peso, oggi può costare molto più delloro,
e sul mercato internazionale può valere oltre 250 volte il suo peso
in argento. Di recente, un farmacista cinese con bottega nella China Town
di New York ha offerto ad un fornitore, allingrosso, 10 mila dollari
per una radice selvatica di ottima qualità. Chissà a quanto
sarà stata venduta al minuto. Anni fa, a Mosca, negli stand dellEsposizione
agricola permanente, faceva bella mostra di sé un esemplare enorme
quindi di pianta molto vecchia che era valutato intorno ai 25
mila dollari (pari a circa 25 mila euro o 50 milioni di lire). Non deve meravigliare,
dunque commenta il citato Fulder la battuta sarcastica che circola
da tempo in Manciuria: Mangia ginseng e andrai in rovina.
Ed è strano per noi occidentali che perfino i poveri in Oriente cerchino
di ottenere i pezzi più grossi e costosi che possono della radice.
Li conservano gelosamente in scatole di legno di balsa, talvolta ricoperte
da una lamina di piombo, per contenere le benefiche radiazioni
della radice, come gli esperti locali suggeriscono con curioso
sincretismo pseudoscientifico est-ovest. Ne mangiano piccolissimi pezzetti
alla volta o, se hanno conservato la radice in alcol, sorseggiano il tonificante
liquore nelle grandi occasioni bevendo da bicchierini minuscoli come ditali.
In Occidente, ieri come oggi, una tale infatuazione per una radice è
sempre apparsa eccessiva e irrazionale. Tra i profani increduli, in Europa
e in America, i più lhanno vista solo come colore locale,
una delle tante stranezze o fissazioni degli Orientali. Ma da
quando sempre più numerosi ricercatori, anche occidentali non
tutti, certo, sospettabili di interessi commerciali stanno documentando
con nuovi esperimenti scientifici che le intuizioni degli antichi cinesi sulle
virtù terapeutiche del ginseng non erano poi così infondate,
gli scettici e gli ironici rischiano di fare la figura dei negatori prevenuti.
Non è chiaro quando, esattamente, la radice di Panax ginseng abbia
cominciato ad essere regolarmente importata in Europa arricchendo importatori
e mercanti. A parte gli scambi sporadici dei mercanti europei con quelli del
vicino Oriente che, come si è detto, dovevano probabilmente importarla
da millenni se non è troppo azzardata linterpretazione
del passo della Bibbia quasi certamente dalla città di Samarcanda
capolinea della collaudata via della seta, si attribuisce al solito
arabo, il navigatore Ibn Cordoba, che commerciava con la Cina, il merito di
aver fatto conoscere il ginseng ai medici e speziali dellEuropa occidentale,
verso la metà del IX secolo d.C.(Fulder 1996).
Ad ogni modo, è dato per certo che i medici arabi lo conoscessero e
utilizzassero già da tempo. I mercanti veneziani, da parte loro, ebbero
per secoli il monopolio di quasi tutte le droghe orientali. Avidi comerano,
volete che si siano lasciati sfuggire una radice che assicurava così
alti guadagni, a cui aveva accennato anche il veneziano Marco Polo? Di certo,
non sui carretti dei ciarlatani senza scrupoli delle fiere, ma nelle migliori
spezierie di Venezia e delle altre grandi città commerciali europee,
accanto alle innumerevoli panacee di dubbia efficacia, ci doveva
essere anche la radice cinese. Anzi, è probabile che facesse parte
della formula più costosa della teriaca veneziana.
Dopo Venezia fu la volta dei rapaci importatori inglesi della East India Company,
e poi soprattutto dei non meno avidi commercianti olandesi della Compagnia
delle Indie Orientali, che dalla fine del Seicento conquistò di fatto
il monopolio della radice cinese importandola regolarmente, insieme con le
droghe più diverse, per rivenderla a caro prezzo sul mercato di Rotterdam
e da lì con varie intermediazioni in tuttEuropa, realizzando
guadagni altissimi. La speculazione commerciale sul ginseng si estese allora
stabilmente dalla Cina al Vecchio Continente e ben presto avrebbe interessato
anche lAmerica, ma in un modo imprevedibile.
Nessuno può davvero immaginare che i Cinesi e i Tartari avrebbero mai
attribuito un così alto valore a questa radice, se questa non avesse
costantemente prodotto dei buoni effetti, scriveva nellaprile
del 1711 con molto buon senso il pragmatico missionario francese padre Jartoux
al suo superiore dei Gesuiti, il Procuratore generale delle missioni in India
e Cina (Bergner 1996). Che è come dire in modo più elegante
la celebre battuta di un anonimo inglese: Si può prendere in
giro un solo uomo e una volta sola; è impossibile prendere per il naso
tanti uomini e per tanto tempo.
Forti di questa intuizione psicologica, i gesuiti che nel Settecento spesso
con poco successo andavano a convertire la Cina sulla scia
delle antiche missioni dei veneziani fratelli Polo, avevano capito subito,
grazie anche alla loro conoscenza delle faccende e delle anime orientali,
che dietro quella millennaria esaltazione popolare qualcosa di vero doveva
pur esserci.
Ma chi è questo strano prete, e perché un uomo di Chiesa sinteressa
così tanto ad una radice che la farmacopea popolare cinese considera
oltretutto un potente afrodisiaco? Nel 1709 il gesuita francese Petrus Jartoux,
invitato come cartografo dallilluminato imperatore cinese Khang Shi
per una spedizione in Manciuria, vicino al confine con la Corea, riceve un
lussuoso regalo che in un primo momento sottovaluta: un cestino contenente
quattro radici di ginseng selvatico, una pianta che non ha mai visto prima
e che i Tartari nominano con rispetto orhota, ovvero madre di tutte
le erbe. Vuole provarle.
Sfinito dopo un lungo viaggio a cavallo, anziché buttarsi sul letto
e dormire unintera notte, su consiglio dei suoi ospiti tartari mastica
un solo pezzetto di radice e si sente fresco e riposato nel giro di unora.
Così può riprendere immediatamente la cavalcata. Meravigliato
dellinsolita reazione e anche dalle altre eccezionali proprietà
della radice che man mano va scoprendo, invia una minuziosa relazione intitolata
Descrizione della pianta tartara ginseng alla rivista scientifica
Philosophical Transactions che la Royal Society pubblica a Londra, insieme
con un accurato disegno dellintera pianta (1714):
Chi è in buona salute scrive padre Jartoux fa uso
di questa radice per diventare più vigoroso e resistente. Sono convinto
che questa potrebbe diventare uneccellente medicina nelle mani di chiunque
in Europa si intenda di farmacia, se ne avesse beninteso una quantità
sufficiente per condurre qualche esperimento necessario ad esaminarne la natura
chimica e ad impiegarlo nelle giuste dosi a seconda delle malattie per le
quali può essere benefica
(Bergner 1996)).
Un rapporto che, a poco a poco, fa breccia nellintelligenza degli scienziati
dEuropa. E intanto il ginseng comincia ad essere meglio conosciuto presso
gli ambienti medici e scientifici del vecchio continente e apprezzato in particolar
modo dalle aristocrazie e dalle corti regnanti. Al Re Sole Luigi XIV di Francia
una ambasceria giunta dal lontano Siam può così offrire in dono
una magnifica radice di Gintz Aen rosso, senza timore di vedersi rifiutare
o accantonare il dono non gradito.
Da allora in poi la scatola di legno della radice cinese si conquista uno
scaffale fisso nelle odorose botteghe di spezie di tuttEuropa. Nelle
farmacie olandesi viene sempre più spesso consigliato ai ricchi pazienti
in caso di debolezza ed esaurimento. Finché nell800 diventa un
farmaco molto diffuso, al punto da essere inserito in alcune farmacopee dEuropa
più attente ai farmaci esotici, come quella del francese Geoffroy (Fulder
1996).
Poi, dalla seconda metà del secolo inizia una crisi che sarebbe inspiegabile
se non si tenesse conto di due fattori concomitanti: il normale ciclico andamento
delle mode e soprattutto la rapida trasformazione della medicina empirica
che da millenni aveva fatto ricorso alle piante naturali in medicina sperimentale
fondata sui farmaci, che finisce per monopolizzare lattenzione dei circoli
scientifici di tutto lOccidente
Invece, secondo unopinabile tesi di Fulder, la causa di questa crisi
del ginseng fu larrivo sul mercato dEuropa di due più economiche
specie di ginseng del Nord America, e poi, nei decenni a noi più vicini,
la rarefazione e quasi la definitiva scomparsa della specie selvatica coreana
di Panax ginseng, e la contemporanea immissione in commercio della specie
coltivata. Negli scaffali, degli speziali prima e degli erboristi poi, si
sarebbe generata nei decenni scorsi secondo il Fulder una confusione
tale tra le tre differenti radici diversissime tra loro per efficacia
e prezzo da gettare sul ginseng lombra del discredito popolare
e dellincertezza terapeutica che solo oggi, in parte, sta scemando,
grazie alla riscoperta naturistica dei farmaci vegetali e delle medicine
naturali in generale (Fulder 1996).
Una tesi infondata, innanzitutto perché il ginseng americano è
altrettanto potente di quello coreano, anche se ha indicazioni leggermente
diverse (vedi capitolo della Farmacologia). Tanto è vero, che in Cina
è tuttora in grande considerazione. Ad ogni modo, oggi non è
più tempo di crisi; anzi il ginseng sta ritrovando il suo pubblico
e il suo mercato. E cè ragione di ritenere che quando saranno
noti al pubblico di pazienti e medici i risultati favorevoli degli ultimi
studi sperimentali e clinici anche attraverso questo libro tutti
i tipi di ginseng, lantica radice degli imperatori, vedranno
finalmente confermati il favore popolare e la piena credibilità scientifica.
Siamo nel Settecento, in piena guerra di indipendenza della colonia americana
contro la madrepatria inglese. Luomo politico George Washington (1732-1799),
vittorioso capo dellesercito e padre dellindipendenza americana,
un giorno del 1784 scrive tra i suoi appunti una breve ma sorprendente nota
di diario:
Mentre ero in viaggio da ovest verso lOhio, mi sono imbattuto
in numerosi muli
con balle di ginseng diretti ad est, verso la strada di Forbes-Braddock...
In quegli anni un simile traffico commerciale era uno spettacolo abituale.
Ma questa volta la stranezza era che riguardava una rara radice cinese. Che
ci faceva il ginseng, il farmaco dellanima dei sovrani del
Celeste Impero tra ladri di cavalli, avventurieri e rozzi coloni del Nord
America, dediti al tabacco e allalcol? Per caso, i parsimoniosi americani
del Settecento erano tutti impazziti e si erano messi ad importare dalla Cina
a caro prezzo tonnellate di ginseng, tuttal più adatto, secondo
la loro mentalità, a pallide e malaticce ragazze di Londra? Nientaffatto:
quella costosa radice, al contrario la esportavano, e per giunta proprio a
Canton, il primo porto cinese. Che cosa era successo perché si arrivasse
ad una situazione tanto incredibile?
Il buon missionario padre Jartoux, che abbiamo visto riferire in Europa con
meraviglia le strane proprietà medicinali del ginseng, di ritorno dalla
Cina aveva lanciato sul Bollettino della Compagnia di Gesù una vera
e propria profezia destinata ad avverarsi con insolita precisione (Foster
1986).
Tutto mi fa credere che se questa radice potesse essere trovata in qualche
altro paese al mondo, questo luogo dovrebbe essere soprattutto il Canada,
dove secondo la relazione che ho inviato le foreste e le montagne
sono molto simili a quelle della Cina.
Non si sa se il missionario fosse già in possesso di qualche notizia
segreta dal Nord America o se il buon Dio avesse ordinato un trattamento di
favore per i fedeli Gesuiti. Fatto sta che, puntualmente, una radice uguale
al ginseng orientale viene trovata in alcune zone forestali o montagnose del
Canada e dellest degli Stati Uniti. E anche qui, è curioso, cè
un missionario gesuita di mezzo, anchegli francese. Che cosa era successo?
Pochi anni dopo che il gesuita Jartoux aveva pubblicato le sue relazioni sulla
radice anti-fatica, padre Joseph Francois Lafiteau, che nel 1711
era stato inviato come missionario in Canada e aveva letto sul Bollettino
dei gesuiti della scoperta del confratello, si trova a Sault Saint Louis vicino
a Montreal e vuol provare se lipotesi di Jartoux è fondata o
no. E così, nel 1716, dopo tre mesi di vane ricerche riferisce
il Foster (1986)un bel giorno ha la fortuna di trovare per caso una
pianta praticamente uguale al ginseng. La mostra ad una donna pellerossa della
tribù dei Mohawks. Questa sorride e, fatti pochi passi, estirpa unaltra
pianta e gli mostra unaltra radice perfettamente uguale.
Figuriamoci quale deve essere stata la meraviglia e la contentezza del missionario.
Il raro e costosissimo ginseng cinese, per il quale in Oriente si arrivava
ad uccidere e si dichiaravano guerre, era una pianta banale e relativamente
comune nelle foreste del Nord America, tanto che gli aborigeni pellerossa
Mohawks (gli irochesi di cui parla spesso Voltaire), insomma i
Cherokee e molte altre tribù, lo conoscevano come farmaco e alimento
anchessi da millenni, anche se pare che non gli avessero mai dato troppa
importanza.
Quel che è certo, è che mai scoperta miliardaria fu più
semplice e casuale. Padre Jartoux aveva previsto tutto, ma non che un confratello
potesse diventare miliardario con lesportazione della radice che curava
limpotenza, né che la Compagnia di Gesù potesse finanziare
le sue missioni con i miliardi fatti vendendo ginseng canadese addirittura
alla Cina. E vero che i Gesuiti avevano fama, presso gli ordini religiosi
avversari, di applicare Machiavelli, cioè di voler raggiungere il fine
ricorrendo ad ogni mezzo, ma questa spettacolare impresa scientifica e commerciale
insieme, in teoria molto più ardua che vendere vasi a Samo,
deve essere sembrata troppo fortunata agli stessi suoi protagonisti, che forse
per questo avranno fatto penitenza per tutta la vita.
Baciato dalla fortuna, padre Lafiteau invia nel 1718 una relazione di 8000
parole sulla scoperta del ginseng americano al Reggente del Regno
di Francia, il Duca di Orléans. Nel medesimo anno il naturalista francese
Michel S.Sarrazin, che aveva collaborato col Lafiteau nellidentificazione
della pianta, è citato in una relazione botanica apparsa nella Histoire
de lAcademie Royale des Sciences . Studioso di etnologia oltre che di
botanica, il Lafiteau si fece poi sostenitore della teoria dellorigine
asiatica degli indigeni americani, non si sa se utilizzando come prova anche
il piccolo tassello del ginseng (trapiantato millenni prima?); ma certo scoprendo
strette analogie con lestremo Oriente anche nelletnofarmacologia,
nella botanica e perfino nel curioso nome che i pellerossa Mohawks davano
al loro ginseng (Gar Ent Oguen cioè fianchi e gambe),
concettualmente simile al corpo umano o alla caricatura
delluomo con cui i Cinesi chiamavano la loro radice (Foster 1986).
Fatto sta che già nel 1718 iniziano le esportazioni del ginseng americano
appena scoperto dal Canada verso Canton, a quanto riportano gli storici (Millspaugh
1892). Disperati per lestrema rarità del ginseng in Cina, a causa
di una caccia dissennata, dallImpero del Sol Levante accorrono commercianti
ed esperti di erbe nel Canada francese (Québec) e poi negli Stati Uniti
dove pure era stato scoperto il ginseng tutti con un comprensibile
atteggiamento, tra lincredulo e il diffidente, per vedere con i propri
occhi se si trattava proprio della medesima radice o di un raggiro degli occidentali.
Ma di fronte allevidenza debbono convincersi: quello americano è
proprio uguale al loro ginseng e altrettanto buono.
I Gesuiti, dal canto loro, vista la bontà dei fini (la propaganda religiosa
tra i gli indigeni) e soprattutto dei mezzi (vascelli), cominciano a spedire
le radici in Cina. E il boom. Nella provincia franco-canadese
del Québec il ginseng locale sale da 2 a 80 franchi la libbra in pochi
mesi. Ma se è venduto a Canton dà un profitto di almeno 10 volte
superiore.
Anche in numerosi stati nellest degli Stati Uniti, dove il ginseng viene
trovato in quantità, nonostante che i missionari gesuiti non vi abbiano
potuto metter piede, scoppia sùbito la febbre del commercio delle radici
di ginseng. Ma con un fervore ed unorganizzazione commerciale ben maggiori
che nel Canada francese,. Alla Borsa di New York quelle radici storte valgono
ben 1 dollaro alla libbra ( 453 g), e il dollaro del Settecento è un
dollaro pesante: vale centinaia di volte di più rispetto ad oggi. In
Cina, poi, hanno un valore altissimo: 5 dollari la libbra, allingrosso.
Il ginseng americano lo acquistano i pochi cinesi ricchi. I contadini cinesi,
poverissimi, che sopravvivono grazie ad uneconomia fondata sul baratto
ed anche i poveri delle città, rischiano la fame pur di comprare un
pezzetto di radice americana. Scherzi della storia.
Il ginseng li cura per poi lasciarli morire dinedia, sarà
ancora un secolo più tardi, nel 1898, il caustico commento allaltissimo
prezzo della radice in Cina dellamericano H.Garman, su una rivista del
Kentucky. Ed ha tutte le ragioni. Tranne una: quella di riferirsi solo agli
acquirenti. In realtà il ginseng, se guarisce qualcuno, guarisce i
venditori, e li guarisce dalla povertà. Per gli imprenditori coraggiosi,
infatti, i profitti sono altissimi; oggi diremmo miliardari. Sono stati trovati
documenti che attestano, per esempio, che nel 1775 la Hingham,
una nave mercantile armata a sloop navigò tra Boston e la Cina con
ben 55 tonnellate di radici di ginseng nella stiva. Unaltra, la Empress,
esportò in Cina nel medesimo viaggio 3000 pellicce grezze e 30 tonnellate
di ginseng raccolto in Virginia e Pennsylvania (Gronewald 1984).
Trovata poi anche una seconda specie autoctona, sia in Canada che negli Stati
Uniti, le due specie occidentali, dallora in poi entrambe note come
ginseng americano, ebbero la fortuna di essere sùbito denominate dal
grande classificatore svedese Linneo, allora ancora vivente: la prima Panax
quinquefolius L., la seconda Panax trifolius L., popolarmente nota come dwarf
o groundnut (noce di terra). Ironia della sorte, la specie orientale
Panax ginseng sarà invece classificata quasi un secolo dopo.
Già nel Settecento il ginseng americano sarà oggetto per decenni
di una vera e propria anticipata corsa alloro oro
verde, in questo casoche vedrà accorrere molte migliaia di coloni
americani e di indigeni, ugualmente desiderosi di arricchirsi rapidamente.
Un vero e proprio Far East, vista la collocazione geografica. E così,
già cinquantanni prima della Dichiarazione dindipendenza
degli Stati Uniti dAmerica, le zone selvagge e boscose degli stati di
Québec e Ontario (in Canada), Maine, Wisconsin, Iowa, Missouri, Arkansas,
Alabama, Georgia e South Carolina (negli Stati Uniti), sono percorse da folle
di cercatori di ginseng.
Queste torme di uomini rozzi e vocianti, malvestiti e dallaspetto poco
rassicurante, sono, però, composte di uomini liberi, che, armati di
badili, sacchi di iuta e falcetti, battono metro per metro foreste e montagne,
per la verità assai poco interessati agli aspetti botanici o terapeutici
della faccenda, ma molto a quelli economici (Fulder 1996). Concorrono duramente
tra loro, è vero, ma su un piede di parità, e già
nel 700 prima della Rivoluzione francese, hanno il raro privilegio
di lavorare per se stessi, e perciò possono e vogliono diventare ricchi,
a differenza dei loro contemporanei servi della gleba in Russia, contadini
schiavi in Cina, braccianti dei nobili e del clero in Europa.
Chi lavrebbe detto? La radice del ginseng diventa il simbolo duna
allegoria che mette a confronto due società esattamente agli antipodi
e non solo in senso geografico, quella cinese e quella americana. E così
la storia si può divertire con i suoi paradossi. La radice che secondo
il Tao doveva dare vitalità e rafforzare il Chi dellantico, prudente
e conservatore uomo cinese, diventa una metafora della libertà e dellintrapendenza
del coraggioso e innovatore uomo americano.
Il dottor Harding, singolare figura di medico e piantatore di ginseng, in
un libro dei primi anni del Novecento ripreso dal Fulder (1996) ha lasciato
testimonianze dirette sui curiosi episodi di vita quotidiana di quei tempi
avventurosi che affascinano ancor oggi, perché delineano con vividi
particolari un periodo confuso e poco noto che vede stranamente sovrapporsi
la storia del nuovo stato americano, la storia del costume e la storia del
ginseng. E lo scritto del medico americano è anche la prima guida
completa al ginseng, perché aggiunge preziose prescrizioni e
consigli per luso curativo di questa radice allora del tutto esotica
per gli occidentali, ed anche fondamentali regole e piccoli segreti di coltivazione
della pianta, che agli agricoltori locali si rivela subito molto delicata
.(Harding 1908).
E così, piccole e instabili navi requisite agli Inglesi, con le stive
cariche di ginseng, dirigono la prua verso la lontana Cina, per il commercio
più assurdo del mondo. E dopo il primo miracolo americano,
cioè la fortunosa scoperta della magica radice nel Nuovo Mondo, meraviglia
noi moderni che leconomia dei neonati Stati Uniti, dopo una lunga guerra
dindipendenza, fosse ancora così efficiente da riuscire in
pieno Settecento a compiere un secondo miracolo, forse più
strabiliante del primo: inviare con regolarità allaltro capo
del mondo, solcando per molti mesi gli oceani avventurosamente su piccoli
e pericolosi vascelli a vela, enormi carichi di una merce preziosa, forse
ambita anche dai pirati, e che oltretutto teme lumidità, come
il ginseng. Ogni anno, infatti, gli Usa vendevano radici alla Cina per migliaia
di tonnellate, inviando navi mercantili fino a Canton.
Chi ci guadagnava? I Gesuiti, ormai, avevano perso il monopolio che avevano
conquistato a sorpresa. Il ricavo va ormai a coraggiosi commercianti esportatori,
ma soprattutto ai veri e propri imprenditori raccoglitori. Uno di questi avventurosi
cercatori americani di seng così era chiamata nei fumosi saloon
la preziosa radice totalmente destinata ai cinesiera un certo Daniel
Boone, cacciatore di pelli ed esploratore, che con il suo battello carico
di radici appena estirpate navigava lungo il fiume Ohio. Nel 1787, riportano
le cronache, il suo barcone fluviale si capovolse e Boone perse in acqua tutto
il suo carico miliardario: ben quindici tonnellate di seng. Per nulla turbato,
il cercatore riprese la sua raccolta di seng lanno successivo e diventò
ricco.
Uno degli uomini più ricchi e famosi dellintera storia degli
Stati Uniti, John J.Astor (in cui onore fu poi costruito il Waldorf Astoria),
dovette la sua fortuna alla raccolta e al commercio di pellicce e ginseng,
due prodotti che, per quanto strano possa sembrare, erano economicamente collegati
perché provenivano dal medesimo ambiente naturale. Astor spedì
un socio con un carico di radici americane in Cina, riempiendo la nave al
ritorno con tè cinese. Il suo profitto per questa sola operazione fu
di oltre 55.000 dollari dellepoca, pari a circa 15 milioni di dollari
di oggi . Ancor oggi, nota il Bergner, il commercio del ginseng americano
è rimasto legato ai grossi produttori di pellicceria.
Gli indigeni americani, poi, i soli che potevano dire di conoscere bene il
ginseng da secoli, si gettarono a capofitto nel nuovo lucroso raccolto, tanto
da abbandonare del tutto lagricoltura. Si vide, così, uno strano
spettacolo mai osservato prima: per la prima volta gli stessi altezzosi proprietari
agricoli francesi del Canada o della Louisiana costretti ad accudire personalmente
i loro campi. Gli affari colossali attirano la società francese Compagnie
des Indes che finì per rilevare lintera produzione annua , che
attraverso la Francia arrivava dopo mesi alle coste della Cina. Equivoci ed
errori non mancarono da parte degli improvvisati commercianti, alcuni dei
quali scoprirono a loro spese che la radice essiccata al forno non veniva
accettata dai cinesi.
Ogni anno è più abbondante il ginseng americano esportato in
Cina. Basti considerare che già nel 1862 si arrivò ad una esportazione
complessiva di ben 622.761 libbre di radici essiccate. Ma la natura, depredata,
finisce per vendicarsi. Alla fine dellOttocento, comera da attendersi,
a causa dellestendersi dellagricoltura a danno delle foreste e
soprattutto dellottusa avidità di cercatori senza scrupoli, la
radice che era stata quasi eliminata già un secolo prima dai cercatori
cinesi in Cina, comincia a scarseggiare anche in America. Poco efficaci furono
da una parte gli sforzi del Governo per regolamentarne la raccolta, dallaltra
i primi tentativi solo alcuni dei quali fortunati di coltivazione
con seme, a partire dal 1890.
I coltivatori non avevano calcolato che le piante coltivate pretendono distanze
maggiori e sono molto più sensibili agli agenti esterni di quelle spontanee.
Cosicché, muffe, parassiti come insetti, funghi e vermi, e lumidità
eccessiva portano alla decimazione dei raccolti per molti anni di seguito,
provocando il fallimento di molte imprese. Nel 1910, lanno nero per
i coltivatori americani, lintero raccolto di ginseng va, in tal modo,
praticamente distrutto per cause naturali e la crisi economica si diffonde
nellintero settore.
Eppure, la redditizia industria nord-americana della radice che guarisce
ha la forza di riprendersi, ricorrendo a tecniche più razionali di
coltivazione. Ma ora produce ed esporta a livelli molto inferiori rispetto
ai tempi doro. A tuttoggi, lindustria del ginseng
coltivato del Nord America è unattività economica abbastanza
florida, tanto da esportare a Hong Kong negli ultimi anni prima del divieto
del 1978 fino a 250 mila libbre allanno, in media, di radice selvatica,
con un ricavo totale intorno ai 20 milioni di dollari. Ma negli ultimi anni,
per motivi di difesa ecologica, si esporta solo ginseng coltivato.
Il ginseng viene sempre più coltivato in Canada (Québec, Ontario,
Columbia britannica), con una produzione annua che ormai ha superato quella
degli Stati Uniti (New England, Wisconsin, Illinois, North Carolina, Tennessee,
Georgia, Missouri e altrove). La produzione totale annua di Panax quinquefolius
nel nellintero Nord America è stata nel 1998 di circa 5.000.000
di libbre (Smith 1998). Rispetto al passato, però, la novità
è che oggi esistono negli Stati Uniti soprattutto in Wisconsin,
Tennessee e Kentucky fattorie specializzate nella coltivazione di ginseng
da seme che da sole possono produrre anche un terzo dellintera esportazione
annua verso la Cina. E poiché il consumo interno è minimo, viene
esportato verso lestremo Oriente dall85 al 90 per cento del raccolto
nordamericano. E la coltivazione, lamentano gli agricoltori specializzati,
è molto rischiosa e laboriosa. Qualche anno fa il prezzo di mercato
era dai 13 ai 15 dollari la libbra (prodotto grezzo).
Nessuno può, tantomeno oggi, improvvisarsi coltivatore di ginseng.
E non solo per la necessità di conoscere tecniche agricole particolari
ma anche per lentità dellinvestimento. Piantare un solo
acro di terra (meno della metà di un ettaro), infatti, costa dai 13
ai 15 mila dollari e più, come ha dichiarato un piantatore del Wisconsin
(Fulder 1996). E stato proprio il dottor Harding, quando alla fine dell800
le radici selvatiche cominciarono a scarseggiare a causa della raccolta indiscriminata,
come era già accaduto in Cina, ad insegnare il metodo più razionale
di coltura del ginseng da seme.
La piantina del ginseng va fatta crescere sostiene Harding come
fanno i coltivatori in Corea. Il seme ha bisogno di una germinazione di 18
mesi sotto uno strato di segatura o di foglie; le piantine poi vanno curate
una ad una con molta pazienza e ripiantate più volte, finché
non diventavano adulte. Il luogo ideale sembra quello delle foreste di latifoglie
dalla fitta ombra, ben ventilate, dove i letti per le piantine
devono poggiare su terreno sabbioso e granitico ed essere ben distanti tra
loro, per evitare muffe, infezioni e attacchi di ogni genere di parassiti.
Quando la pianta inizia ad essere matura, poi, cè il rischio
del furto, come in Oriente. Il proprietario, quindi, deve far sorvegliare
le piante a lungo, in alcuni casi anche per sette anni, con costi evidentemente
molto alti.
Edavvero curioso, ammettiamolo, che nelle erboristerie degli Stati
Uniti il pubblico si rifiuta di acquistare il ginseng americano, tranne qualche
raro raffinato intenditore o gourmet delle erbe, che però chiede sicuramente
la radice selvatica, ormai quasi introvabile e costosissima. Ma così
è: per il Panax quinquefolius, nonostante i prezzi più bassi
rispetto al ginseng coreano Panax ginseng, quasi non cè mercato
in America (Fulder 1996). Gli Stati Uniti, dunque, poiché quasi non
consumano il ginseng che producono al loro interno, lo devono importare dallOriente.
Ecco il primo paradosso che unisce e divide nel nome del ginseng due continenti
che la storia della radice ci fa scoprire lontanissimi e vicinissimi: lAsia
e lAmerica.
Ma si è scoperto che, in fin dei conti, agli americani tutto questo
conviene. Possibile? Sì, grazie ad un più curioso secondo paradosso,
che altro non è se non leffetto della forte sproporzione tra
le domande interne delle due diverse specie, sia in Asia che negli Stati Uniti.
In sostanza, la domanda di ginseng americano da parte dei consumatori asiatici
sul mercato interno è, stranamente, così alta che oggi in Asia
il Panax quinquefolius, nonostante che in terapia gli vengano attribuite da
alcuni esperti e commercianti orientali proprietà differenti
o sia addirittura considerato meno efficace, è più
richiesto di quanto il ginseng cinese lo sia sul mercato interno americano.
Il che sembra davvero incredibile, ma è verissimo(
).
Un incredibile terzo paradosso sono le adulterazioni. In Cina, per guadagnare
di più, i commercianti disonesti vendono il ginseng cinese per ginseng
americano, e non viceversa come tutti noi immaginiamo, come ha documentato
But et al. alla International Ginseng Conference di Vancouver (1994).
Il quarto paradosso è forse il più divertente e denota la simpatica
mentalità ambivalente dei cinesi, sempre divisi come molti orientali
tra nazionalismo e imitazione di tutto ciò che viene dallOccidente.
Oggi in Cina il ginseng americano costa il doppio di quello cinese (circa
300 dollari la libbra), naturale conseguenza di una domanda interna altissima.
Il quinto paradosso lo ha creato la natura. Gli agronomi hanno scoperto che
la varietà coltivata della specie americana è molto più
simile alla specie selvatica di quanto non lo sia la cultivar orientale. E
di questo cè una spiegazione convincente: la radice asiatica,
infatti, viene coltivata da diversi secoli, secondo alcuni autori probabilmente
già dal Seicento, e quel che è più grave in modo intensivo,
il che in Oriente ha portato a marcate differenziazioni genetiche tra piante
coltivate e piante spontanee. Inoltre, la specie spontanea nel Nord America
praticamente non ha domanda interna, tranne quella di pochi raffinati ed esigenti
superesperti, e perciò basta e avanza rispetto al mercato interno.
Già nel 1978, un decreto del Governo federale degli Stati Uniti ha
dichiarato il divieto di esportazione del ginseng americano, al fine di salvaguardarne
la specie che è ormai molto rarefatta. Che, però, a differenza
di quella orientale, non è ancora in pericolo totale di estinzione,
come sostiene il Fulder. Cosicché, per ipotesi, se oggi una famigliola
di turisti o una scolaresca, volessero mettersi a cercare ginseng in zone
segnalate da amici esperti, per esempio tra i boschi dei monti Allegani e
nella contea di Catskills, e comunque in tutti gli States orientali a nord
della Georgia e del Missouri, camminerebbe molto, questo è certo, ma
avrebbe qualche probabilità, sia pure remota, di trovarne un esemplare,.
Una situazione che in Corea e in Cina potrebbe verificarsi solo in sogno (Fulder
1996).
Ma la ciliegina sulla torta (il sesto paradosso) è che oggi in Cina
si coltiva il ginseng americano (Bergner 1996).Dopo essersi precipitati in
America e aver ammesso che il ginseng americano era "perfettamente uguale"
e aveva lo stesso sapore, ed averne importato per secoli migliaia
di tonnellate ogni anno a caro prezzo, alcuni esperti cinesi hanno decretato
che, però, allatto pratico è una pianta diversa,
con proprietà diverse, che non può essere
considerata un sostituto del ginseng orientale. Con tutto ciò,
ora si mettono a coltivarlo.
E non è finita. Esiste anche un settimo paradosso, che dopo tutto quello
che abbiamo visto sopra è davvero inspiegabile: dopo averlo pagato
il doppio, dopo aver cercato di coltivarlo in casa, dopo averlo anche contraffatto
con quello coreano, alcuni ineffabili esperti cinesi sostengono che il
ginseng americano è inferiore, meno buono come tonico del
Chi di quello coreano. In realtà ha spiegato lo studioso
di medicina cinese H.Y.Hsu il ginseng americano sarebbe in teoria un
tonico Yin, mentre il ginseng coreano o cinese un tonico Chi (vedi al quarto
paragrafo del Capitolo Secondo, sulle cosiddette radici minori).
E se questa ennesima curiosa incongruenza orientale vi ha meravigliato, vi
sorprenderà ancor di più apprendere lottavo paradosso,
cioè che già nei secoli scorsi il ginseng americano, che non
era assolutamente usato dagli Americani, faceva parte del quotidiano e familiare
uso terapeutico cinese. NellOttocento, come riporta il Duke, ad una
ragazza cinese di Hong Kong in preda a scarlattina e febbre alta venne dato
come antipiretico daccordo col medico il ginseng americano
(Leung 1984).Questo, mentre nello stesso anno dellOttocento, ad unipotetica
ragazza di Chicago, i medici americani avranno prescritto per la medesima
febbre chissà quale farmaco tossico, oppure magari lapplicazione
delle ventose o delle sanguisughe. Ad ogni modo, finalmente il quadro di costume
farmacologico cinese ci è chiaro: il ginseng americano è
considerato cinese dai Cinesi, più di quanto la zuppa inglese
e la insalata russa siano ritenute italiane dagli Italiani.. Con
la differenza, però, che queste ultime due non esistono nelle presunte
patrie dorigine.
Ritorniamo al fortunato missionario gesuita francese padre Joseph Francois
Lafiteau, che abbiamo lasciato mentre nel lontano 1716 scopre, dopo tre mesi
di vane ricerche, una piantina del tutto simile al ginseng cinese. Padre Lafiteau
si trovava da sei anni nella missione in Canada tra i pellerossa irochesi
o Mohawks della tribù dei Caughnawaga, a Sault St.Louis, sopra Montreal.
Naturalmente, la prima persona a cui mostra trionfante la pianta, con tutta
la radice, è una donna indigena. Sapeva che le donne dei pellerossa,
specialmente se di una certa età, sapevano riconoscere molte piante
spontanee, che del resto erano abituate a raccogliere per gli usi della famiglia
e della tribù.
Lafiteau ignorava, però, che quellanonima e insignificante piantina
secondo la tesi di qualche etnologo era conosciuta e apprezzata
non solo da quella tribù ma in tutto il Nord America e serviva da secoli
ai popoli Amerindi o indigeni come medicina, proprio come accadeva in Cina
e in tutto lOriente. Il gesuita nella sua relazione raccontò
che la donna pellerossa, vista la radice si illuminò in volto, sorrise
e fatti pochi passi nella vegetazione estirpò unaltra piantina
del tutto simile (Foster 1986). La radice miracolosa più ricercata
e costosa dOriente, per cui in Cina si arrivava a rubare e ad uccidere,
in Canada era invece unerba comune, di uso gratuito, alla portata di
tutti? Il missionario quasi non voleva crederci.
Cominciò ad interrogare i vecchi delle tribù e le anziane donne
indigene sugli usi che da tempo immemorabile assicuravano
facevano di quella radice, ed è così che poté sviluppare
la sua innata passione per letnologia e lantropologia umana. Tenne
nota in vari quaderni delle sue interviste e delle sue osservazioni
sul campo, finche non ebbe un quadro sufficientemente completo
degli usi della medicina popolare, nelle varie tribù, in quella parte
del Nord America.
In seguito, i moderni studi condotti negli Stati Uniti e in Canada sulletnomedicina
dei popoli autoctoni del Nuovo Continente hanno completato il quadro, ed ora
abbiamo molte informazioni in più anche sulluso tradizionale
delle due specie americane del ginseng (Panax quinquefolius L. e Panax trifolius
L.) presso i popoli Amerindi. Ed ecco la prima sorpresa: luso preventivo
e curativo del ginseng americano tra i Pellerossa è del tutto simile
a quello del ginseng coreano-cinese tra i Cinesi. Fu proprio il Lafiteau,
del resto, ad avanzare per primo lipotesi dellorigine orientale
degli indigeni dAmerica (Foster 1986). Ma confrontando i diversi impieghi
terapeutici del ginseng, ha fatto notare Angier (1978), resta ancora senza
risposta il principale interrogativo antropologico: quali usi sono nati in
Oriente e quali in Occidente?
Ma non pochi autori mettono in dubbio lesistenza stessa presso gli Amerindi
di tradizioni curative che riguardino il ginseng americano Insomma,
le numerose e strane usanze terapeutiche sul ginseng attribuite ai Pellerossa
delle varie tribù da tanti storici americani, sono davvero originarie
o non piuttosto acquisite dallOriente nel corso degli ultimi due secoli,
dopo la scoperta del ginseng in America? Ecco lintrigante interrogativo
di antropologia culturale posto dal Moerman (1977).
LHarris, che pure ha fornito, come abbiamo visto, uno studio accurato
delle indicazioni terapeutiche in uso nelle varie tribù americane (1978),
come nota il Duke nel citarlo, non dà una risposta. Le concordanze
con gli usi popolari dellEstremo Oriente, infatti, sono quasi totali,
si direbbe. Ma è proprio questa coincidenza che genera nel Moerman
il sospetto riferisce il Duke senza essere daccordo che
per i pellerossa luso terapeutico del ginseng sia in realtà culturalmente
acquisito, cioè appreso dai cinesi o dai commercianti bianchi per cui
raccoglievano le radici ai tempi della corsa alloro verde.
Daltra parte, nellindice del rapporto American Indian Medicines
di Vogel (1970) le voci ginseng e Panax mancano del
tutto, fa notare lo stesso Duke. Ma è immaginabile che un popolo che
vive da sempre su un territorio non conosca e non usi alla perfezione le erbe
spontanee che crescono sul suo terreno, specialmente quelle munite di tuberi?
No, è impensabile, come abbiamo visto in analoghe culture antiche,
per esempio tra Etruschi e Italici, le cui popolazioni rurali e montanare
conoscevano perfino i segreti per un possibile uso alimentare di funghi, tuberi
e bulbi tossici, come Asphodelus sp.
Nel manuale universitario di Medical Botanic gli autori appaiono scettici
sulla questione, come riporta correttamente Duke. Gli indiani americani, sembra
che avessero un atteggiamento di sufficienza nei confronti della radice. Probabilmente
gli Amerindi usavano il ginseng con parsimonia e solo dopo aver venduto il
raccolto destinato allesportazione. Però è credibile che
gli Ojibwas (o Chippewas) possano aver avuto realmente lusanza di ricorrere
al ginseng per prolungare la vita e alleviare il dolore (Lewis e Elvin-Lewis
1977). Specialmente il primo autore appare poco convinto: Esiste solo
una piccola evidenza che il ginseng sia stato usato come panacea nel Nuovo
Mondo prima che la sua scoperta, la raccolta e lesportazione avessero
inizio, nel XVIII secolo (Lewis 1985).
Ad ogni modo, ha sostenuto una rivista di economia botanica, non è
sicuro che gli indigeni degli attuali Canada o Stati Uniti abbiano usato spesso
e regolarmente il ginseng, anche se questa pianta vi si trovava in discreta
abbondanza. E probabile che essi abbiano conosciuto la pianta; ma se
è così, comunque è certo che non lhanno utilizzata
in modo regolare o continuativo come i Cinesi. Una prova portata a favore
di questa tesi limitativa, contraria alla tesi di Leitch, è la carenza
di testimonianze e documenti antiche. Pare, in altre parole, che il ginseng
americano non abbia costituito un articolo di scambio commerciale tra le tribù
(Carlson 1985). Tesi analoga sostiene uno studioso coreano, con un tocco deloquenza
ciceroniana, appena più contorta: In Oriente il ginseng fa parte
della medicina tradizionale da 5000 anni; in Occidente invece solo dal XVIII
secolo è diventato un oggetto dinteresse. Ma a dispetto della
tesi che gli indigeni americani hanno avuto la tradizione delluso del
ginseng come mezzo per ottenere forza e giovinezza esteriore, essi non sembrano
dedicargli grande attenzione. Eppure, se il ginseng non avesse tutti gli effetti
attesi, perché mai gli asiatici avrebbero valutato il ginseng più
dellargento e delloro? (M.W.Hone 1978).
Ma questo scetticismo in mancanza di prove antiche certe non sembra piegare
le convinzioni di altri studiosi. Si fa notare, per esempio, che nelle loro
preghiere alle divinità vari popoli Amerindi fossero soliti chiamare
la radice di ginseng come il Grande Uomo e che questa pianta fosse
molto considerata dai Cherokee. Un documento del 1880 un po troppo
tardo, come si vede attesta la vendita della pianta intera da parte
degli indiani Cherokee per la non altissima cifra riferisce Dukedi
50 cents la libbra. Non solo, ma prima della raccolta delle piante nei boschi
gli indigeni indirizzavano una preghiera alla montagna, chiedendo perdono
perché di lì a poco avrebbero tagliato dei pezzi della
sua carne (Krochmal 1978). Ma sono tutte testimonianze troppo recenti,
successive alla scoperta di padre Lafiteau in Canada.
Secondo gli storici dellagricoltura, i primi colonizzatori che si spingevano
nella North Carolina dellovest avevano visto che gli indiani usavano
il ginseng, tanto che gli stessi indiani ripulirono ben presto le grandi foreste
delle costosissime radici (Byrd 1979). Daltra parte, fino a quasi il
1900, quando solo qualche agricoltore cominciò a sperimentarne la coltivazione,
il solo modo di avere del ginseng era quello di battere la foresta come
selvaggi.
Anche un noto studioso orientale, riporta il Duke, ha riconosciuto che gli
Amerindi, come i Cinesi, possono vantare un lungo periodo duso del ginseng:
Sia in Asia orientale che nel Nord America orientale, da tempo immemorabile
i popoli hanno raccolto ginseng, consumandolo dapprima come cibo per mitigare
la fame e alleviare la fatica, poi come medicina (S.Y.Hu 1980). Gli
indiani Irochesi Oneida, ottimi agricoltori, producevano grandi raccolti di
granturco, fagioli, zucche, tabacco e ginseng. Negli anni migliori qualcosa
come 1000 stai o moggi di radici di ginseng venivano raccolti per i commerci
con le altre tribù indiane e gli Europei (Leitch 1979).
Daccordo, però anche queste testimonianze si riferiscono a tempi
incerti, mentre in indagini storiche come questa è la precisa successione
dei documenti, insomma la cronologia, che conta. Perciò, resta insoluto
linterrogativo iniziale: i Pellerossa conoscevano o usavano il ginseng
americano prima della scoperta di padre Lafiteau? Fino ad oggi
non è chiaro.1 Pastori di renne, provette e soldati
E lì per la prima volta vidi Ginseng, la radice
di vita così preziosa e rara che di trasportarla erano stati
incaricati sei giovanotti forti e ben armati. Dentro una cassettina di scorza
di cedro, poggiata su del terriccio nero, stava una piccola radice giallastra,
che mi ricordava il nostro prezzemolo. Dopo avermi fatto posto, tutti i cinesi
si sprofondarono di nuovo in muta ammirazione; e anchio, esaminandola
attentamente, cominciai a discernere in quella radice, non senza meraviglia,
delle forme umane: si vedeva chiaramente il tronco suddividersi in due gambe,
e cerano anche le braccia, un piccolo collo con sopra una testa, e persino
una treccia, mentre le radichette alle mani e ai piedi somigliavano a lunghe
dita
(M. Pri_vin, Ginseng, Adelphi 1979).
Così un giovane chimico russo che durante la guerra russo-nipponica
del 1904 abbandona di nascosto il fronte, passa la frontiera con la Cina e
allimprovviso si trova in un altro mondo. E la Manciuria, una
terra dalla natura incontaminata, tra foreste e valli in cui cresce la pianta
dai poteri magici, capace di soggiogare anche i più rozzi
soldati. Inutile dire che la sua vita cambierà, e in modo avventuroso.
Il momento dincanto, larrivo della preziosa cassettina della radice
che sembra prezzemolo, scandisce in Ginseng, del russo M. Pri_vin,
il doppio mutamento dambiente e di psicologia tra la Russia delle certezze
e la Cina della magia, e forse aiuta a capire la strana seduzione con cui
il ginseng irretisce i russi siano essi scienziati o soldati che
lo avvicinano per la prima volta.
Perché questo è stato, fin dallinizio del Novecento, lambiguo
rapporto tra i russi e il misterioso ginseng delloltre-frontiera cinese.
E su quella martoriata terra di guerre di confine, sia i soldati che gli scienziati
Brekhman più dogni altro sono rimasti incantati dal
mistero della piccola radice come i cacciatori cinesi raccolti nella capanna
del racconto di Pri_vin.
Nella regione del fiume Ussuri, al confine tra Russia e Cina, si sono a lungo
fronteggiate due diverse culture. Ma il ginseng selvatico si è trovato
anche in altre regioni. Si racconta di un certo pastore Yganopuski che avrebbe
coltivato il proprio ginseng per dodici anni, distruggendo la coltivazione
quando la regione fu annessa al nascente impero sovietico Il ginseng selvatico,
in Russia e nella disciolta federazione delle repubbliche sovietiche, si dovrebbe
trovare sparpagliato lungo il corso del fiume Hyukruong e intorno allarea
detta di Yean Hea, dai 40 ai 48° di latitudine nord, soprattutto nelle
foreste di montagna al di sopra dei 1000 m.(Duke 1989).
La prima coltivazione razionale sembra che labbiano iniziata
i pastori di renne nel 1910 sulla penisola Shedeide. Al posto delle vecchie
capanne di fuoriusciti cinesi e di cacciatori siberiani, attorno a cui si
praticavano dapprima la raccolta e poi la coltivazione clandestina di ginseng
(Panax ginseng), sono sorte anni fa grandi fattorie di Stato che conducevano
le colture con metodi ultratecnologici, ad esempio ricorrendo al trattamento
dei semi con lacido giberellinico, che ha la proprietà di ridurre
i tempi della germinazione e di favorire lo sviluppo dellintera pianta.
Un ginseng uguale a quello coreano è stato prima a lungo raccolto e
poi coltivato in fattorie tecnologiche modello anche in Siberia, Bielorussia
e a sud di Habarovsk (Baranov 1966).
Negli anni Trenta furono condotti esperimenti di coltivazione nella foresta
di Soopuginiski e in una foresta protetta di pini di Corea. Dal 1952 al 1953
vennero usati i semi del ginseng di Corea dalla sezione Estremo Oriente della
Accademia delle scienze, per esperimenti di coltura e fitopatologia (Duke
1989). Esperimenti, forse anche con laiuto dellingegneria genetica,
sono stati condotti su vasta scala anche in aree geografiche molto lontane
da quelle originali, come il Caucaso (Riserva di Tiberdin) e la Bulgaria.
Pur nel segreto che ha avvolto questo tipo di ricerche in Russia, sembra che
una parte di ginseng sia stata addirittura prodotta totalmente in vitro nelle
provette dei laboratori di agronomia dellUniversità di Mosca,
dove le piantine di ginseng coreano venivano o vengono tuttora non è
dato sapere con certezza nutrite in modo razionale solo
di sostanze chimiche (Fulder 1996). Oggi, dopo che nel 1989 la caduta dellimpero
sovietico ha rivelato insieme i limiti della scienza di prestigio
e una profonda crisi economica, non si sa nulla dello stato attuale delle
coltivazioni sperimentali e convenzionali di ginseng in Russia.
Con linvasione della Corea del nord, nel 1945, gli scienziati russi
furono contagiati dalla passione coreana per il ginseng. Il loro rinnovato
interesse fu chiaro quando le autorità sovietiche annunciarono in un
rapporto di aver requisito, durante la guerra coreana, lintero raccolto
di ginseng della Corea del nord. Il ginseng fu così ben studiato e
sperimentato che lo scienziato russo Brekhman, dellIstituto di sostanze
biologiche di Vladivostock, divenne forse la massima autorità mondiale
in materia di sperimentazioni con il ginseng: Delle sue scoperte e dei suoi
esperimenti sugli animali e sulluomo, il primo dei quali fu condotto
nel 1948, si tratterà più avanti nei capitoli della sperimentazione
biologica. Nel frattempo non sfuggiva agli agronomi laspetto economico,
e la Russia cominciò subito a produrre ed esportare ginseng in tutto
il mondo, specialmente in India e in Africa (Lucas 1969).
E la Corea? Qual è la storia del Panax ginseng, noto anche come ginseng
coreano, nellantico dominio di Koguryo o Koryo, in cui alcuni
esperti coreani ritengono che esista lhabitat ideale per la pianta?
Non si può passare sotto silenzio che lagricoltura dellintera
Corea doggi è in pratica monopolizzata dalla magica radice che
dà ricchezza. Si calcola che la Corea oggi esporti ginseng per la bella
cifra di 70 milioni di dollari o di euro, pari a 140 miliardi di lire allanno
(Fulder 1996).
Il ginseng selvatico si poteva ancora trovare fino a qualche anno fa nella
provincia di Pyon Gyanbuk Do, ma oggi è quasi del tutto estinta: resteranno
tuttal più un centinaio di radici selvatiche, che devono soddisfare
da 20 a 80 raccoglitori professionisti, gli shimmani, e un migliaio di raccoglitori
di frodo o dilettanti. Eppure la loro perseveranza ha una logica. Sanno che,
al prezzo che viene pagato oggi per una vera radice selvatica, basterà
loro trovare una sola radice per arricchirsi per tutta la vita (Fulder).
Quello coltivato copre estensioni imponenti e sorvegliate, un po dovunque
nella penisola coreana, soprattutto a Songto, vicino alla capitale, a Yong
San e Kam San. La coltura ormai è intensiva e più rapida dun
tempo, quando si usava lasciare i campi incolti, a maggese, per 10-15 anni,
rovesciandoli periodicamente, prima di ripiantarvi il ginseng. Oggi la coltura
intensiva pretende di accorciare il periodo di maggese a due anni e piantare
invece legumi, che dovrebbero arricchire il terreno di azoto rapidamente.
Così, è vero, si coltivano più piante, ma queste sono
più deboli di fronte ai parassiti, ai funghi e alle muffe, cosicché
non di rado le radici marciscono, come accadde nel 1965 all80 per cento
della produzione di Kam San (Fulder).
Ma è possibile che una nazione che oggi vive di ginseng come la Corea
non abbia neanche un documento storico che attesti luso antico della
radice? Secondo lo storico coreano M.W.Hong (1978), a cui attinge largamente
il Duke, nel libro più antico di storia coreana Sam Guk Yu Sa, che
risale a 4000 anni fa, si fa menzione come farmaco dellaglio, ma stranamente
il ginseng non è citato. In compenso, sono state trovate due fonti
molto più recenti, degli anni della dinastia Sui: il libro cinese Han
Yuan che fa riferimento alla produzione di ginseng sul monte Ma Da San (forse
è lodierno Kai Ma Dai Sun) in Corea; ed il testo buddista Kuo
Chin Pai Lu che parla di ginseng coreano. Nel già citato Pen Tsao o
Trattato delle erbe cinese, si citano undici erbe medicinali prodotte
in Corea, presumibilmente per il commercio con la Cina. Tra queste cè
anche il ginseng.
E troppo poco per quella che dovrebbe essere la vera patria
della radice terapeutica, fa notare in sostanza il Duke. Ed è storicamente
inutile supporre, come fa il coreano Hong, che è impensabile
che il popolo di Corea non usasse il ginseng per sé, mentre lo esportava
in Cina. Lo stesso, obietta il Duke, si potrebbe dire dei pellerossa
americani. La storia, per fortuna, non si fa con le intuizioni, ma con i documenti.
E i documenti sono in grave contraddizione, perfino in uno stesso autore,
circa la data dinizio della coltivazione. Lo storico Kisaki (1980) sostiene
dapprima che il ginseng cominciò ad essere coltivato in Corea allepoca
di Seong Jo, della dinastia Yi che durò dal 1567 al 1608; ma poche
pagine più avanti si contraddice e sostiene che risale a più
di mille anni fa (Duke 1989).
In Giappone, invece, dove lesattezza è un dovere, si sa che lImpero
del Sol Levante non produceva né importava ginseng fino al 400 d.C.
(S.K.Hong 1982). Ma già nel 733 il brodo di ginseng veniva raccomandato
contro il vaiolo, allora frequente. Fin dal tempo in cui al re Kaimoon fu
presentato un dono di circa 20 kg di radici di ginseng, questa preziosa droga
è presente sia nei doni che negli scambi tra giapponesi. Si ritiene
che la coltivazione di Panax ginseng sia iniziata appena dopo il 1600, e che
i primi tentativi, però, fossero diastrosi. Nel 1728 a Nikko ebbe finalmente
successo la coltivazione sperimentale, a partire da 8 piante selvatiche e
60 semi importati dalla Manciuria e dalla Corea. Ma in realtà il Giappone
continuò a ricorrere allimportazione dalla Corea per la maggior
parte del ginseng che consumava, fino a dopo la Seconda Guerra Mondiale, quando
le ricerche presso la stazione sperimentale Gaesung Ginseng ripresero quota.
Oggi le maggiori colture sono nelle prefetture di Nagano, Shimane e Fukushima.
Larea dedicata era nel 1974 di 415 ettari, 82 dei quali davano raccolti
di circa 5000 kg per ettaro. La produzione totale era allora superiore a 400
tonnellate (Duke).
Il ginseng coreano o cinese coltivato in Giappone non va confuso con la specie
autoctona Panax japonicus, nota come ginseng giapponese, ritenuta una pianta
diversa sia morfologicamente che farmacologicamente da Panax ginseng e raccomandata
dagli studiosi per una gamma diversa di disturbi, come si vedrà più
avanti (Shibata 1978).
Sulla storia del ginseng in Cina, infine, mancano dati recenti, e tutti gli
autori si limitano a far riferimento alle varie farmacopee antiche di cui
si è già parlato. Lo stesso botanico americano Duke , che ha
intrapreso un viaggio in Cina nel 1978, fino alla provincia di Heilung-kian,
ad Harbin, non ha potuto sapere nulla e si è limitato a darci scorci
del paesaggio tipico (simile a quello autunnale del Vermont, negli
Stati Uniti) dove è nato spontaneamente ed oggi si coltiva il ginseng
cinese.